Con un’ordinanza del luglio 2022, il Tribunale di Roma, nell’ambito di un procedimento ex art. 700 cod. proc. civ., ha applicato la disciplina relativa al marchio al caso di un noto club calcistico, che lamentava l’utilizzo non autorizzato, da parte di una società che commercializzava NFT, della fotografia dei marchi del club in abbinamento all’immagine di un altrettanto noto calciatore (all’epoca in cui era tesserato della stessa).

In particolare, la contestazione mossa dal club riguardava la contraffazione del marchio (unitamente alla condotta di concorrenza sleale), rappresentata dal suo utilizzo nell’ambito della produzione, commercializzazione e promozione online di carte da gioco digitali tramite NFT.

Sotto il profilo del fumus boni juris, il Tribunale ha ritenuto comprovata sia la titolarità, sia la notorietà, dei marchi della società sportiva ricorrente. Da questo punto di vista, il club ha potuto agevolmente dimostrare di essere la squadra di calcio italiana più titolata in Italia, col numero maggiore di tifosi, e di svolgere una diffusa attività di merchandising in vari settori con l’utilizzo dei marchi oggetto del ricorso.

Passando all’oggetto della presunta contraffazione, il Tribunale ha ricordato la fattispecie di cui all’art. 20, comma 1, lett. c), del Codice di Proprietà Industriale, ai sensi del quale il titolare di un marchio di impresa registrato ha diritto di vietare ai terzi di utilizzare nell’attività economica “un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno, anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e servizi, senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”.

Esclusa la possibilità di far rientrare l’utilizzo dei marchi della ricorrente in qualsivoglia delle fattispecie di cui all’art. 97 LDA (non sussistendo alcuno scopo scientifico o didattico, né di pubblica informazione), il Tribunale ha rigettato la principale difesa della società resistente, secondo cui, avendo il giocatore prestato il consenso all’utilizzo della propria immagine tramite la creazione di Cards che riproducevano il giocatore con le diverse maglie delle squadre in cui aveva giocato, non sarebbe stato necessario richiedere il consenso anche del club.

Il Tribunale da questo punto di vista è stato molto chiaro e ha ribadito che era, ed è, sempre necessario richiedere “l’autorizzazione dell’utilizzo dei marchi registrati inerenti alle squadre in cui sono riprodotte le maglie e la denominazione, in quanto si tratta di beni destinati alla vendita commerciale, in relazione alle quali anche la fama delle diverse squadre in cui il calciatore ha giocato contribuiscono a dare valore all’immagine digitale da acquistare”.

Il Tribunale ha dunque ritenuto che la creazione e commercializzazione delle cards in questione (i) comportasse contraffazione dei marchi oggetto di ricorso, rispetto ai quali il pubblico poteva ritenere sussistente un legame commerciale con la ricorrente e dunque un rischio di confusione; (ii) integrasse un’ipotesi di concorrenza sleale in conseguenza dell’uso non autorizzato di marchi altrui e dell’appropriazione dei pregi collegati ai marchi utilizzati; (iii) rappresentasse un pericolo di danno sotto il profilo della volgarizzazione del marchio e della lesione dei diritti di privativa in capo al titolare.

Sotto il profilo del periculum, il Tribunale, esclusa una rilevanza sull’avvenuta cessazione dell’attività di commercializzazione delle Cards, e ritenuto che “in materia di proprietà intellettuale, il pericolo consiste in ogni rischio di pregiudizio, anche meramente patrimoniale, che sia suscettibile di espansione o non agevolmente quantificabile e che detto pericolo non dipende dal numero di prodotti commercializzati o dall’interruzione della vendita degli stessi”, ha concesso la tutela cautelare richiesta e pertanto ha condannato la resistente:

  • a non commercializzare, promuovere od offrire in vendita gli NFT in questione, astenendosi dall’utilizzare i marchi del club ricorrente per qualsiasi finalità;
  • a ritirare dal commercio e rimuovere da ogni sito gli NFT in questione e qualsiasi contenuto digitale affine,

prevedendo una penale per ogni violazione.

La sentenza risulta una delle prime pronunce a tutela del marchio di impresa sportivo nell’ambito degli NFT e, come rilevato da alcuni commentatori, presentava proprio per questa novità “qualche incognita circa l’ambito peculiare del prodotto esclusivo a certificazione diffusa (blockchain), non espressamente regolato dalla normativa e dalle prassi di riferimento” (A. Galimberti, “Juventus è marchio “crypto”, Il Sole 24 Ore, 3 novembre 2022).

D’altro canto, la novità della questione rende quantomai attuali alcune questioni correlate all’effettività della decisione cautelare in questione, tra cui l’effettiva possibilità di ritirare gli eventuali NFT già venduti. Infatti, giova ricordare che lo scambio di NFT avviene tramite tecnologia blockchain, che per sua natura è immodificabile, con ciò rendendo particolarmente arduo immaginare che la resistente potesse revocare l’acquisto in capo ai soggetti che avevano già comprato gli NFT (profilo tra gli altri menzionato da L. Pandolfelli in La tutela del marchio nella creazione e commercializzazione di non-fungible token (NFT), GiustiziaCivile.com, fasc., 16 gennaio 2023).

Ciò da ultimo potrebbe dipendere dalle effettive caratteristiche della blockchain e dalla forza delle garanzie tecnologiche che sono state approntate, sebbene in linea di massima, laddove l’NFT cessasse di funzionare, l’immagine a cui è collegata la sua emissione continuerebbe a essere disponibile per l’acquirente in buona fede.

Avv. Lorenzo Vigasio

Studio Legale Morelli

 

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